Il caso: alcuni lavoratori, dipendenti di un’agenzia di somministrazione, ricorrevano al Giudice del Lavoro per impugnare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo che era stato loro comminato vista “l'impossibilità di reperire alcuna missione lavorativa compatibile con il livello professionale” presso le società c.d. utilizzatrici.
La domanda giudiziale si fondava sull’argomento – poi accertato in corso di causa – secondo cui successivamente al comminato recesso datoriale, la stessa società datrice avrebbe assunto nuovo personale avente profili professionali simili e posizioni compatibili con i lavoratori licenziati.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 181 del 08.01.2019, confermando la pronuncia di appello, afferma il principio secondo cui, in tema di recesso per giustificato motivo oggettivo, la successiva assunzione di soggetti – pur con profili professionali simili a quelli dei lavoratori licenziati – dà diritto a questi ultimi alla sola applicazione della tutela indennitaria, ferma restando la definitiva risoluzione del rapporto di lavoro.
Secondo gli Ermellini, quindi, il mancato rispetto dell’obbligo di repechage non è sufficiente a provare la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento previsto dall'art. 18, comma 7, dello Statuto dei Lavoratori, come novellato dalla Legge 92/2012, escludendo così la possibilità per il lavoratore illegittimamente licenziato di ottenere la reintegra nel posto di lavoro.
Sulla base di tali argomentazioni, la Suprema Corte, atteso che nel caso in commento si ravvisava esclusivamente una violazione dell’obbligo di repechage ma non anche l’insussistenza della ragione organizzativa posta alla base del recesso datoriale, ha confermato la sentenza di appello che aveva riconosciuto ai lavoratori la sola indennità risarcitoria pari a 24 mensilità (nella misura massima di legge).