I Giudici di Piazza Cavour hanno stabilito l’obbligo in capo al datore di lavoro di risarcire gli eredi del proprio dipendente, deceduto a causa di un tumore ai polmoni.
Il principio - per certi versi rivoluzionario - sancito dagli Ermellini è che, anche in assenza di prova scientifica della riconducibilità della malattia a cause lavorative, è sufficiente che la stessa sia “più probabile che non” di derivazione dal costante venire a contatto con l’amianto e/o altri agenti tossici presenti in azienda.
Ed è questa la regola, chiariscono con fermezza i Giudici di Piazza Cavour, che deve essere applicata in tutti i processi, allorquando la scienza di per sé non è in grado di fornire prove certe del nesso causa-effetto (contatto con amianto/decesso) ma nemmeno di escluderlo.
Non solo!
La responsabilità del datore di lavoro è stata pienamente riconosciuta anche se il dipendente deceduto era un fumatore, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2087 e del DPR 330/1956: ciò, infatti, per la circostanza che nella filiale erano presenti polveri tossiche mai rimosse dal datore (mediante aspiratori) e l’utilizzo delle sole mascherine date in dotazione non poteva impedire che le sostanze nocive presenti nell’aria venissero comunque respirate, finendo nell’organismo.
Sulla scorta di tali ragionamenti, la Corte di Cassazione nella sentenza num. 19270 dello scorso mese di Agosto 2017, confermava la pronuncia della Corta d’Appello, ribadendo il diritto degli eredi a vedersi risarcito il danno, tanto quale iure hereditario (ovvero quale danno da invalidità temporanea, parziale e totale) quanto quale iure proprio (perdita precoce del prossimo congiunto).